La Piazza

Alessio Di Lella "il Coglione"
Messaggio del 06-11-2010 alle ore 14:08:11
1à Parte
C’era una volta…
– Un re! Diranno i miei giovani lettori.
Vi sbagliate! C’era una volta un pezzo di merda.
Egli viveva in un piccolo paese del centro Italia, poche migliaia di abitanti che avevano saputo costruirsi, nel tempo, una loro pace e stabilità nella tranquilla cittadina ove si erano stabiliti. Quest’ultima si trovava in un centro di campagna circondato da campi coltivati e cavi elettrici che si diramavano tra le colline, come i binari di un treno che non passa mai. La notte si poteva scorgere, camminando in una qualunque delle strade di paese, un orizzonte nero di cielo e terre che andavano a confondersi in un unico manto di buio e lucciole dormienti, e si aveva sovente la sensazione che l’universo, in qualche maniera, rispecchiasse un fazzoletto della sua eternità in quello specchio silenzioso di civiltà e costruzioni di cemento.

In quel paese, sapete, ciascuno era conosciuto da tutti, e nel lavoro, negli intrecci di amore e di amicizia, nei successi e nei fallimenti economici e politici, si aveva sempre a considerare l’ipotesi per la quale Tizio o Caio venissero a conoscenza dei fatti propri per farli diventare interessi altrui. Non che ciò fosse un problema, non per la maggior parte dei paesani. Per alcuni, a dire il vero, si trattava di una vera e propria dannazione; per altri, a dirla tutta, era semplicemente una formalità non scritta dell’esistenza, una istituzione senza sacerdozi che aveva sempre e comunque qualcosa per cui predicare. V’era ad esempio il signor Francesco Zironi, che di professione, da due generazioni della sua famiglia, faceva il restauratore di mobili di antiquariato, ed il lavoro non mancava ogni qual volta un figlio o una madre provvedevano alla sistemazione delle proprie quisquilie domestiche. Il buon vecchio Edoardo Clemente, per fare un altro esempio, gestiva una filiale di una importante e redditizia società di assicurazioni, e lì in paese, statene certi, di questioni d’ogni genere (salute, beni immobili, automobili, attività commerciali) da tutelare con carte e monete ce n’erano a bizzeffe. Marco De Fraudi, che i più antiquati solevano sbagliare nel chiamarlo “De Fraudis”, leggendo in quella “s” aggiuntiva il valore di nobile antiquato d’una qualche dinastia di autoctoni latini, era commerciante di veicoli motorizzati. Mentre il dottor Pino Camillo aveva il suo studio medico in un viottolo nei pressi del convento di frati gesuiti del posto, esattamente dirimpetto alla bottega di generi alimentari gestita dalla sempre giovine signora Fedele, Concetta Fedele, forse la prima insegnante del posto in metodologie del dialetto locale. E perlopiù i pensionati ch’erano sempre in strada, con La Gazzetta dello Sport nella mano sinistra ed il mazzo di chiavi nella destra, amavano scherzare con i conoscenti che passavano dalle parti dell’alimentari Fedele, chiedendo loro “Ehi, dov’è che vai, dal dottor Camillo? T’è venuta la polmonite?”, “Oh, no, no! Passo da Concetta per due uova e del formaggio fresco, cucino a pranzo la frittata con le patate, che a mio marito piace tanto!”, e poi via con risate e ammiccamenti con la testa, gli stessi che si vedono a contorno degli accesi dibattiti calcistici posti a tema dei caffè nei bar.
segue.......................
Messaggio del 06-11-2010 alle ore 14:43:03
Messaggio del 06-11-2010 alle ore 15:02:51
l'ho letto tutto,
insomma..
un pò schifoso. (e scritto neanche tanto bene) ma penso che sarebbe il sogno di molti...
------------
Editato da Micolao il 06/11/2010 alle 15:03:42
Messaggio del 06-11-2010 alle ore 15:12:18
2à parte
Questa piccola comunità esisteva in armonia con le consuetudini e le tradizioni che le erano
proprie. Molte erano le famiglie che la domenica andavano a messa vestite e truccate come fosse
ogni volta il giorno del Santo Natale. E dovreste vedere quale gioioso e fracassone evento era la
cerimonia festeggiata in nome del Santo patrono. Due o tre giorni l’anno ove sbucavano dal mondo
di fuori chioschetti colorati addobbati con calzature, pellami, cianfrusaglie, luci e confezioni rosse
di noccioline da circo. Nella piazza centrale c’era un palco con musica dal vivo, danze popolari,
odore di porchetta calda e rumori di alimentatori a benzina. Le strade d’ingresso al paese venivano
in quei giorni adornate con imponenti archi di luce, che tutte insieme sovrastavano la cittadina con
tanti piccoli arcobaleni elettrici.
Cos’è che fa di questa ridente cittadina, come ce ne sono a bizzeffe nella cara Italia, la
protagonista della storia che sto per raccontarvi? Una persona che, abbiamo detto, non era un re, e
senza dubbio non era nemmeno un bracciante, un marito, un dottore o un prete. Non che fossero
sempre le stesse le categorie di persone che incontriamo nei nostri paesi, per quanto la scritta “Bar”
o “Alimentari”, se siamo in Sicilia, in Abruzzo o nel Piemonte, è sempre uguale, lungo le fredde
strade dei piccoli centri abitati fuori città. Ma questa persona, vedete, era come si suol dire più unica
che rara, e nella sua fattispecie comunicava però, senza dubbio alcuno, l’antipatica e diabolica
sensazione per la quale, da qualche parte (forse nei nostri incubi, forse in tv, forse nelle ombre dei
nostri amici) l’abbiamo già vista, potreste metterci la mano sul fuoco. Il nome del personaggio che
stiamo per conoscere non è importante, giacché, oltre al fatto che non aveva né vita sociale né un
impiego che lo qualificasse in un certo ruolo o categoria civile, egli era semplicemente conosciuto,
tra i suoi compaesani, come “il coglione”. Penso che la scelta di tale soprannome sia dovuta
all’esaustività del suo epiteto, indicando per coglione quel soggetto che abbia, nelle sue fattezze, il
concentrato sociale di comportamenti e modi di fare del pezzo di merda, del pallone gonfiato,
dell’ottuso sbruffone stupido ed antipatico. In questi termini, il buon costume della società ha
saputo compiere il suo percorso, ed arrivare al nominativo di “coglione” quale etichetta più
facilmente riconoscibile di quella persona.
Il coglione viveva da solo in una abitazione d’un unico piano, recintata ed adibita a trilocale sul
piano terra. I più anziani del paese, tra i quali Don Riccardo, il vescovo nonché magnifico rettore
del convento dei frati gesuiti, ben conoscevano, nel pieno delle sue sfumature, la storia di quella
abitazione. La casa, nei tempi del secondo dopoguerra, era di proprietà d’un certo Stefano Catonesi,
avvocato romano che aveva trovato più d’una fortuna negli anni della sua composta carriera. Questi
si sapeva essere lo zio del coglione, nella fattispecie il cognato della madre, la quale, vuole la
tradizione, scappò al nord con un ex militare di Brindisi dopo che il suo primo marito non aveva più
fatto ritorno dal servizio militare in tempo di guerra. Non tutti sanno quali siano stati poi gli
intrallazzi famigliari e politici tra il Catonesi e le famiglie di sua cognata, fatto sta che il coglione,
cresciuto dallo zio come un nonno in tempi migliori, era rimasto in paese dopo che anche le altre
due sorelle di suo zio erano emigrate in cerca di sistemazioni redditizie. Ed in paese si raccontava la
storia del coglione e dei suoi zii, di sua madre e dei suoi amanti, come si racconterebbe la storia di
Pinocchio e di suo padre, del Gatto e della Volpe. E con la stessa energia della retorica del Collodi, i
compaesani del coglione traevano insegnamenti morali e religiosi dalle sue avventure. “Vedi,
figliolo, tu non sei fortunato come il coglione, che s’è ritrovato vitto e alloggio tra le tasche in dono
ereditario. Devi studiare e diventare dottore, che il mondo è duro, e i lupi mordono!”, dicevano le
madri ai loro figli in paese, mentre non era raro sentire qualcuno tra i più anziani che, ormai
sull’orlo della pace eterna, sentenziavano: “Ah, se avessi avuto io le fortune del coglione, non avrei
mai dovuto lavorare, ed oggi non mi ritroverei la schiena spezzata, e senza dubbio camperei fino a
cent’anni!”. Quando le brave famiglie passavano nei pressi della casa del coglione, la scrutavano
con occhiatacce a labbra strette, le stesse che farebbe un barbone passeggiando nei dintorni di un
ristorante di pesce. Essa era lì, apparteneva al paesaggio, marchiava la comunità, e molti ormai
pensavano che in tutta Italia, in ogni paese, ci fosse una casa del coglione, data per scontata come la
capanna del bue e dell’asinello nei presepi allestiti per le festività natalizie, così satolli di legno e
muschio finto
Messaggio del 06-11-2010 alle ore 15:51:01
3à parte
Ciò che faceva del coglione un nome evangelico, da pronunciare a pugno chiuso e sillabe
scandite, come “Gesù Cristo” o “Arca di Noè”, qualcosa insomma che è conosciuta col nome che le
è proprio, e tanto basta, non era il suo status di abbiente fancazzista cullato sugli allori. No:
l’invidia, nella nostra tradizione, dà un tocco di antipatia e cattiveria alla persona invidiata, ma mai
le consegna un’aura di intollerabile rinnegazione. Il coglione, sta di fatto, era appunto una categoria
dell’essere, un marchio sociale che ha qualcosa di trascendente e metafisico, come Lucifero, o
l’Apocalisse, o l’Immacolata concezione. Egli era Il Coglione, il surrogato negativo di tutte le
qualità indesiderate della società moderna. Perché?, vi chiederete mai. Perché era ricco e nulla
facente e viveva la sua vita con la stessa anima con la quale si vivrebbe uno spettacolo al cinema?
Certo queste sue doti lo rendevano una persona tranquilla, spensierata, ricca e potente, ma i re e le
regine in Italia, sapete, si adorano in tv o sui libri di storia, ma si detestano se si incontrano per
strada. Il punto era un altro: il coglione, semplicemente, era il tipo di persona che, a contatto con gli
altri, aveva la straordinaria capacità di dire o fare la cosa più odiosa al posto sbagliato.
V’era in lui una sorta di diavolo che godeva nel consegnare dolore e antipatia alla persona
interloquita. “Ehi Francesco, la tua Juventus ha perso ieri, eh? Ah ah!”, diceva a Marcello Zerboni,
lo juventino del paese, ogni qual volta che i bianconeri incassavano una sconfitta, canticchiando
(ma dove le imparava?) il coro o l’inno della squadra vincente di turno. Il coglione non aveva a
cuore alcuna squadra, ma semplicemente tifava per la formazione che giocava contro Inter, Roma,
Milan e Juventus, per godere nei confronti di qualcuno ogni qual volta una di queste gettonate
squadre incappava in un passo falso domenicale. Addirittura il coglione, nella stagione 2006 –
2007, s’era abbonato al digitale terrestre di Pier Silvio Berlusconi, per poter vedere le partite della
serie B ove la Juventus, in quella stagione, militò per sua disgrazia. E dovreste vedere come il
coglione s’era ormai imparato a memoria le formazioni di Mantova, Rimini, Frosinone e compagnia
bella, per calunniare l’odiata Juventus nella serie cadetta. In questi termini, il lunedì mattina il
coglione soleva presentarsi nei bar dove cornetti e caffè partecipavano a conversazioni di stampo
calcistico, solitamente avente a tema l’incompetenza arbitrale o la politica, e mai il giuoco del
calcio in sé. Si piazzava lì in piedi, con il suo taglio di capelli da 35 euro, jeans griffati e schiena
impostata come quella di un ufficiale dell’esercito in una parata col Presidente, ed aspettava che
entrasse il rospo di turno, rimuginante ancora per la sconfitta della sua squadra. Con la Gazzetta
sotto mano pronta per la consultazione, il coglione sparava a zero e ridacchiava per beffare il danno
subito, lesto ed abile nel rintracciare negli articoli di giornale le frasi che condannavano a puntino la
formazione presa di mira. Poi se la rideva, e aggrottava lo sguardo, e se la rideva di nuovo,
noncurante delle spalle che, naturalmente, di volta in volta gli venivano date. In questa sua
performance di cattiveria e luoghi comuni, il coglione non aveva interlocutori, ma a lui non
importava, perché lui era il centro del mondo, l’unico verbo in terra, l’interazione sociale finiva lì,
nel momento in cui lui emetteva giudizi e sentenze. Amen.
Oh, cari lettori, il calcio non è nulla, è solo una piccola parentesi, una nota in testo, di un volume
ben più consistente avente a soggetto le caratteristiche del coglione. A cominciare dalla sua persona
fisica, infatti, v’erano elementi che lo rendevano insopportabile alla sola vista. Innanzitutto, il
coglione era sempre tirato a lucido come un tronista di Uomini e Donne, per lui andare in Chiesa o
buttare la spazzatura non faceva differenza: bisognava rivestirsi a puntino, così come la società
massmediatica aveva inculcato abilmente nella sua piccola mente. Ogni volta che usciva dalla sua
abitazione, il coglione sembrava essere un attore che entrava in scena su un palco con i riflettori
tutti puntati su di lui. Capelli così perfettamente acconciati che ci si chiedeva se mai restassero tali
anche nel sonno. Abbigliamento rigorosamente griffato, tant’è che il coglione acquistava
costantemente, dall’edicola del giornalaio Marzocchi (pochi sanno il suo nome, semplicemente egli
è “il Marzocchi”, un nome che vende un prodotto, come la Telecom), riviste e calendari sulle
pagine dei quali la moda veniva promossa da chi di potere. Le sue scarpe nuove, i suoi indumenti
all’ultimo grido, venivano con maestria indossati con portanza da manichino, e più di una volta un
passante, vedendolo seduto in un bar o passeggiando per il centro a petto da fuori, avrebbe
scommesso che l’etichetta dei prezzi fossero ancora appesi su quei capi d’abbigliamento.
Messaggio del 06-11-2010 alle ore 18:03:08
4à parte
Il coglione era ciò che appariva: un manicheo essere cinetelevisivo di sicuro successo mediatico,
sul quale un giorno il Dio del Grande Fratello sarebbe intervenuto a dirgli “Ti eleggo come mio
apostolo!”. E questi pensieri, vedete, il coglione comunicava di averli ben impressi nella testa. Ogni
busta della spesa, ogni giornale quotidiano, ogni nocciolina o utensile comprato per strada,
venivano da lui detenuti ed esposti come oggetti taumaturgici, simulacri della sua eccellenza, atti
perfetti di un film da Oscar dove egli era l’attore protagonista. Se incontravate il coglione per strada
ed avevate entrambi una mela rossa in mano, beh, state sicuri che lui vi avrebbe detto “La mia è
migliore!”, avrebbe sancito quella affermazione di superiorità imperativa, al di fuori di ogni
evidenza o forma di ragionamento, giacché il coglione non discuteva, ma affermava, e se non eri
concorde con ciò che lui affermava, eri nel torto, contro di lui, un nemico da schernire.
Di sicuro interesse erano appunto le qualità interlocutorie del coglione. I suoi discorsi potevano
tranquillamente essere presi a modello per uno studio sulla comunicazione egocentrica nell’era dei
mass media. La recondita, e fin anche tenebrosa sensazione che si aveva, parlando con il coglione
(per un qualunque motivo a vostro incidente, nessuno senza dubbio si augura mai di averlo come
interlocutore), era che egli parlasse come un registratore che ripetesse le frasi e i luoghi comuni
estrapolati dal mondo dello spettacolo televisivo. C’è chi addirittura, si racconta, l’aveva visto
parlare per strada al cellulare coprendosi la bocca con la mano libera, come fanno i calciatori o i vip
per la privacy sotto l’attenzione delle telecamere. Perché il coglione è, appunto, una persona
convinta di diventare un giorno come gli idoli che vede sul piccolo schermo. Se esistesse un
ricevitore vocale capace di monitorare le sue frasi con quelle disponibili in un archivio tv, esso
indicherebbe un indice di pertinenza pari a circa il 98%. “A domani!”, “lo sapremo presto”, “la
squadra ha giocato bene ed ha fatto quello che voleva il mister”, “ha avuto una lite con la sua
donna”, “parlate una persona alla volta!”, insomma auscultare il coglione o un canale generalista
non faceva nessuna differenza.
L’ars retorica del coglione era tanto scontata quanto insostenibile. Egli era molto bravo nel porre,
nel mentre delle sue discussioni, delle parti di ciò che vedeva o era solito intendere, per far poi
ruotare il discorso attorno a quei punti di vista. Questo perché, fatto ciò, potesse avere un punto
fermo attorno al quale difendersi ed attaccare. Dunque se uno dei suoi conoscenti poveri disgraziati
cercava di parlare con lui, si trovava non in una discussione, ma in un dibattito, dov’era da stabilire
chi avesse ragione e chi torto, chi il vincitore e chi il vinto. Quando il coglione vedeva però che la
sua posizione era in forte rischio di sconfitta retorica, si accendeva in lui una sorta di lampadina,
come un programmino automatico del computer, che gli faceva pronunciare frasi del tipo: “Il punto
in realtà è un altro”, “No, non hai capito niente, come al solito”, “Va bene, hai sempre ragione tu,
va’!”, “Non è vero” e via dicendo. Fatto sta, che nessuno in paese aveva legami consuetudinari con
le sue simpatie, ed egli spesso e volentieri s’inseriva in un discorso nelle vesti del dottor
cerchiobottista, solitamente abile nello schierarsi dalla parte della fazione vincente
Messaggio del 06-11-2010 alle ore 18:05:05
Messaggio del 06-11-2010 alle ore 18:54:56
lucaaaaaaaaaa...alla fine m'à da dì chi è?
Messaggio del 07-11-2010 alle ore 01:35:21
Preside' ngi' so' capite nijende....
Messaggio del 07-11-2010 alle ore 16:56:05
5à parte
Il coglione, naturalmente, dava fastidio anche quando se ne stava solo in casa, per fatti suoi.
Nelle sere in cui, ad esempio, andavano in onda puntate speciali di quei gagliardi programmi
generalisti che esibiscono ed elogiano il talento futile ed appariscente (“reality show” li chiamano i
giornali, ma ce ne sono anche di altre tipologie), il coglione si rinchiudeva nella sua conca per
assumere l’irradiazione televisiva, captare il sacro verbo del Successo che senza dubbio, stanne
certo!, un giorno toccherà anche a te, visto che le persone che vedi in tv sono uguali o inferiori alla
tua persona. In queste sere, il volume audio della tv del coglione era altissimo, per molti metri nei
pressi della sua abitazione si sentivano le urla e le musiche dei programmi da lui adulati, ed i vicini
raramente riuscivano a prender sonno entro mezzanotte. Giacché il coglione, come le vittime a lui
similari, andava a dormire non quando aveva sonno, ma quando glielo diceva la Televisione,
l’oracolo religioso dell’unica fede da lui riconosciuta nella Trinità di Successo, Apparizione e
Potere.
Scontato dirlo, il coglione era scapolo. Le sue fasi di avvicinamento ad una donna di qualunque
fattispecie consistevano nell’atto del guardare. Si metteva lì, su un palo o sul poggia schiena di una
sedia, a premere i tasti del cellulare dell’ultima generazione da lui posseduto (senza dubbio il
migliore, se glielo chiedevate), ben curante che i primi due bottoni della camicia fossero aperti, di
modo che la donna fosse attratta, come la televisione insegna a credere, dal suo petto depilato ed
abbronzato (il coglione aveva infatti un abbonamento annuale autorinnovantesi presso un Sun
Center del paese – e molti pensano che, senza di lui, quella bottega non avrebbe mai aperto).
Quando la gentil donzella di turno passava nel raggio della sua visione, il coglione aguzzava la vista
e stringeva i denti, fischiettando magari, e ben attento che nessuno la stesse guardando, perché
dentro di lui, in quel momento, sbocciava la ferrea convinzione di piacere a quella donna. La quale
ovviamente tirava dritto, e il coglione restava con una odiosa luce negli occhi, di sicurezza e trionfo,
faceva tutto da sé insomma, sentiva e ti faceva percepire di aver fatto colpo.
Agli onori della cronaca, però, è da segnalare un episodio in cui il coglione la fece veramente
grossa. Fu la tipica goccia che fa traboccare il vaso, e portò alla grottesca cerimonia la quale, come
vedrete, è motivo ultimo di questa storia. V’era una bella ragazza, di nome Carmela, figlia dei
coniugi Del Santo che in paese erano ben conosciuti e rispettati da tutti. Questa Carmela entrò, per
una serie di ottusi rigonfiamenti di pensiero, nelle agende quotidiane del coglione, il quale era
convinto che la sua bellezza era destinata a lui, che un giorno essa l’avrebbe amato perché così è
scritto nel Destino, punto e basta. Insomma, la tipica inamovibile convinzione da telenovela che le
povere menti irradiate dalla cultura televisiva amano coltivare, pensando che la realtà sia una serie
tv fatta di personaggi e canoni di eventi. Questa saccente indicazione coniugale veniva a sua volta
utilizzata dal coglione per giustificare la sua nullità in fatto di donne: “Tanto, sapete com’è!, c’è la
Carmela che prima o poi mi riconoscerà come uomo della sua vita, e mi sposerà…”.
Messaggio del 07-11-2010 alle ore 16:57:05
6à parte
Accadde allora che la Carmela cominciò a frequentarsi con Luca il marinaio, così chiamato
perché figlio di Oreste Piggetti, vecchio capitano della marineria di porto. Il coglione cominciò a
frequentare i posti ove la novella coppia solevano recarsi per passare le serate, ed a sparare sentenze
che non avevano né capo, né coda, del tipo: “Si vede subito che non è l’uomo della sua vita, presto
lei lo mollerà”. Ma il fidanzamento tra i due finì soltanto un anno dopo, per convertirsi in
matrimonio. Questo matrimonio, che risuonava nelle case di tutto il paese come l’evento stagionale,
era giunto facilmente anche alle orecchie del coglione, il quale per alcuni giorni, se lo aveste visto!,
andava in giro come un porco ingozzato, con le sopracciglia aggrottate ed il passo veloce e schivo.
Il giorno del matrimonio, una domenica d’un primaverile maggio, il coglione si presentò in Chiesa
perché, pur se gliene fregava veramente poco, era comunque importante essere presenti in un tal
raduno di massa delle genti paesane. Sedutosi all’estremo interiore d’una panca a poche file
dall’altare, il coglione fece la mossa sbagliata: uno sgambetto al povero Luca, che umile e
impacciato faceva quasi tenerezza nella sua ridente eleganza. Come questi cadde a terra, il coglione
esclamò, puntando il dito su di lui: “Che fesso, è inciampato il giorno del suo matrimonio! E’
proprio un fallito, ah ah! Avete visto?”.
Ma nessuno, ovviamente, aveva visto male. Tutti s’erano accorti della mossa del coglione, la cui
ottusità di credersi il centro del mondo lo rendeva ingenuo in questo genere di scherzi, i quali
richiedono senso della misura e precisione, cose che mancano a chi pensa che il mondo giri attorno
a sé. Un po’ rosso in volto, il coglione riprese la sua postura da sovrintendente dell’esercito,
applaudì anche al “si” della coppia, guardava con veleno in gola un punto lontano, e la giornata finì
lì, tra ipocrisie e pezzi di merda. O perlomeno, finì per il coglione.
I paesani infatti, che quella mattina avevano assistito al loffio malefatto, cominciarono a far
bollire qualcosa in pentola. Al Bar Nuova Aurora, sito a poche centinaia di metri dall’ingresso in
paese, fiancheggiante un rifornitore di benzina Api, Enzo Callammare, meccanico, ebbe da chiedere
al suo caro compagno Marco De Fraudi: “Allora il coglione non ha avuto nulla da ridire? Ma s’è più
visto in giro, che tu sappia?”. Marco disse di no con il movimento della testa. “E Luca? Che dice
Luca il marinaio? I suoi amici che dicono?”. De Fraudi rispose: “Oh, Luca è molto incazzato,
immagini? Un brutto scherzo del genere, fatto a me, lo avrei picchiato lì, davanti a Gesù crocifisso,
perdio!”.
In via Vittorio Emanuele, tra il portone d’ingresso dello studio legale dell’avvocato Alberto
Pisano e la serranda abbassata d’una tabaccheria, la signora Concetta e la sua vicina di casa
Eleonora s’incontrarono a pochi quarti d’ora dalla cena, l’una andava a cestinare l’immondizia,
l’altra era lì a fumare, guardare le stelle ed origliare l’edizione serale del gioco dei pacchi, che si
sentiva in strada dalla sala della sua abitazione. “Eleonora, a chi è che pensi?”. “A nessuno, signora
Conce’…a nessuno…”. “Pensi mica al coglione? Hai visto che ha fatto! Nessuno che lo appoggia,
ha torto nero, quello lì! L’ha fatto con cattiveria!”. Eleonora, che calpestava la cicca della Marlboro
Light con la punta delle sue pantofole, annuiva con il corpo, lanciò un’occhiata a Concetta, esclamò
disarmata “Eh, che ci vuoi fare…” e rientrò dentro.
Messaggio del 08-11-2010 alle ore 00:35:52
Messaggio del 08-11-2010 alle ore 00:51:36
Messaggio del 08-11-2010 alle ore 09:45:02
basta scrivere : "Alessio Di Lella "il Coglione"...che poi è il titolo del post-------------- non c'è bisogno di spiegarlo.mica sono deficenti

Lucaaaaaaaaaaaa hai capito mò chi è il coglione?!!
Messaggio del 08-11-2010 alle ore 09:49:10
è caduto il merlo!!!!

Nuova reply all'argomento:

Alessio Di Lella "il Coglione"

Login




Registrati
Mi so scurdate la password
 
Hai problemi ad effettuare il login?
segui le istruzioni qui

© 2024 Lanciano.it network (Beta - Privacy & Cookies)