Messaggio del 10-06-2010 alle ore 16:30:08
Approvata la legge bavaglio, si apre un buco nero nella cronaca, che balza indietro a 87 anni fa.
Ecco come nel luglio del 1923 il Governo guidato da Benito Mussolini attuò una serie di provvedimenti per mettere il bavaglio ai giornalisti e all'informazione. Fu l'inizio di una drammatica stagione che portò al Regime fascista.
Il vero obiettivo di Mussolini doveva rivelarsi a distanza di pochi mesi. A giugno aveva inviato una circolare ai prefetti chiedendo di avere “telegraficamente notizie su stampa locale nei confronti atteggiamento verso Governo” e l’11 luglio il Consiglio dei ministri condividendo il parere del capo del fascismo “sugli abusi a cui si abbandonano senza ritegno taluni organi della stampa italiana” , affidò, su proposta del ministro Di Cesarò, al guardasigilli, Oviglio e ai ministri Carnazza e Federzoni l’incarico di presentare per il giorno successivo uno schema di provvedimenti necessari a “prevenire e reprimere energicamente e immediatamente gli abusi e i delitti di talune pubblicazioni”. Nel comunicato governativo Mussolini specificò che “fin dal novembre scorso aveva preparato vari schemi di provvedimenti” contro gli abusi della stampa, ma ne aveva sempre dilazionato la presentazione, “sperando in un ravvedimento che nonsi è verificato”. Nella mattinata del giorno successivo, mentre i giornali si chiedevano cosa in realtà celassero le parole del presidente del Consiglio e Il Mondo si domandava “se per misure preventive” dovesse intendersi “la restaurazione del sequestro o della censura, cioè di odiose misure, che ci ricaccerebbero indietro di molti anni nella storia delle nostre libertà”, l’on. Chiesa presentò in Parlamento un’ interrogazione al Governo e al Guardasigilli “sull’attendibilità di una ordinanza contro la libertà di stampa”, seguito dai socialisti unitari che chiedevano spiegazioni al Governo per un regolamento che “sovverte e annulla” i principi dell’editto sulla stampa e dai socialisti massimalisti che protestavano per il tentativo di togliere ai giornali il diritto di critica e la libertà di discussione. La risposta arrivò nella nottata dello stesso giorno. Il Consiglio dei ministri, a conclusione dei suoi lavori, prendendo atto che la mancanza di un regolamento sull’editto della stampa del ’48 aveva determinato “un manifesto abuso di quella libertà saviamente concessa alla stampa fino al punto di falsare il concetto fondamentale della legge”, approvava uno schema di regolamento, che introduceva l’obbligo che il gerente di un giornale dovesse essere il direttore del giornale stesso o comunque un suo redattore, vietava ai senatori, ai deputati e a quanti fossero stati condannati per due volte per reati commessi a mezzo stampa di essere gerenti responsabili di un giornale,affidava ai prefetti la facoltà di negare il riconoscimento della qualità di gerente a chi fosse privo dei requisiti richiesti, e di intervenire,“salva l’azione penale”, nei confronti dei gerenti dei giornali in caso di pubblicazione di “notizie false o tendenziose” tese a danneggiare "il credito nazionale all'interno od all'estero” o a destare “ingiustificato allarme nella popolazione” ovvero a dare “motivi di turbamento dell'ordine pubblico", o articoli e commenti che istigassero “a commettere reati” o eccitassero “all'odio di classe o alla disobbedienza alle leggi o agli ordini delle autorità". In tutti questi casi il prefetto aveva il potere di intervenirecon la diffida o con la dichiarazione di decadenza, dopo due diffide, del gerente responsabile della pubblicazione, sospendendo, di fatto, la pubblicazione stessa. La diffida doveva essere pronunciata dal prefetto con decreto motivato, udito il parere di una commissione composta da un giudice, in qualità di presidente, da un sostituto procuratore del Re e da unrappresentante dei giornalisti nominato dall’Associazione della Stampa di competenza territoriale.
Si trattava di un provvedimento pesantemente lesivo della libertà di opinione teso a imbavagliare la stampa e le voci delle opposizioni,giustificato con l' obbligo del governo "assoluto e categorico" di "intervenire o per prevenire o per rapidamente colpire" "l'opera sobillatrice e nefasta" delle opposizioni. Nello stesso giorno della diffusione del testo del regolamento, La Stampa di Frassati esprimeva un giudizio particolarmente caustico sulla creazione, mediante un regolamento, di un nuovo istituto giuridico, quello della diffida, che soltanto la volontà del legislatore avrebbe potuto introdurre nell’ordinamento e che rappresentava “un arma fortissima per gli abusi del potere esecutivo e per la soppressione della libertà di stampa, anzi addirittura dei giornali”………
….Il 15 luglio l’on. Chiesa, mentre si esauriva la discussione parlamentare sulla nuova legge elettorale, depositava alla Camera un ordine del giorno che considerando necessario garantire “in modo assoluto” per l’esercizio delle funzioni elettorali “la libertà di opinione con la stampa” invitava il Governo a non prendere “misure restrittive in ordine al regime della pubblica stampa”. Nell’illustrare l’ordine del giorno Chiesa sostenne di averlo presentato proprio in quella occasione perché ciascuno nell’esprimere il proprio voto si assumesse sul problema la propria responsabilità e invitava il Governo ad abbandonare il progetto e l’incostituzionale regolamento sulla stampa “che è vergogna per qualunque civiltà moderna”. Alla fine della discussione sulla legge elettorale, mentre tutti gli altri ordini del giorno venivano ritirati, Chiesa mantenne il suo perché in quel momento il decreto bavaglio incombeva “come un’oltraggiosa minaccia contro la maggiore delle libertà politiche”. Per indurlo al ritiro l’on. Gray parlò con il Presidente del Consiglio, che invitò Chiesa al banco dei ministri. Dopo averne letto l’ordine del giorno, Mussolini assicurò il parlamentare repubblicano che il decreto sulla stampa non sarebbe entrato in vigore. Solo a quel punto Chiesa si convinse a ritirarlo, riaffermando che i diritti della stampa non dovessero essere violati. Due giorni dopo l’on. Acerbo comunicò a Chiesa che Mussolini gli aveva ordinato di non presentare più il decreto con il regolamento sulla stampa alla Corte dei Conti. Ma anche senza il decreto il Governo era, comunque, intenzionato a limitare la libertà di espressione, utilizzando ogni mezzo possibile. A giugno, il prefetto di Trieste, invocando l’art.3 della legge provinciale e comunale aveva fatto sequestrare il giornale comunista Il Lavoratore. L’episodio era stato oggetto di tre interrogazioni parlamentari, alle quali il sottosegretario Finzi aveva risposto in aula a luglio, proprio mentre era discussione la legge elettorale e Mussolini faceva intendere che il decreto sarebbe rimasto in un cassetto. Agli interroganti, che si ostinavano a sostenere l’inapplicabilità di una legge amministrativa per limitare diritti sanciti da norme di diritto pubblico, che presiedevano alla libertà della stampa, Finzi aveva risposto riaffermando il diritto del Governo, anzi il suo “obbligo categorico ed assoluto” di intervenire per prevenire gli “abusi” della stampa “senza preoccuparsi punto delle immancabili recriminazioni dicoloro che soprattutto della stampa vogliono avvalersi come di un elemento di disgregazione sociale, di preconcetta rabbiosa opposizione al Governo”.
Pochi giorni dopo, nella mattinata del 22 si riunì il Comitato direttivo della Federazione e nel primo pomeriggioalle 15 iniziarono i lavori del Consiglio generale. In assenza di Barzilai, che aveva inviato a Meoni una lettera per giustificare la sua assenza a seguito delle dimissioni che il giorno precedente aveva rassegnato dalla carica di presidente della Romana, il consiglio fu presieduto dallo stesso Meoni che spiegò come, in considerazione della delicatezza dell’argomento, il Comitato direttivo non avesse voluto presentare in Consiglio nessun documento, lasciando ciascuno libero di esprimere le proprie valutazioni. L’auspicio del Comitato era che dal Consiglio uscisse un documento unitario che in quanto tale potesse esprimere all’esterno la posizione chiara di tutta la categoria e anche per questo gli ordini del giorno approvati dalle singole associazioni non erano stati resi pubblici. La discussione, come era prevedibile, fu molto lunga e si protrasse per oltre cinque ore e alla fine si decise di affidare ad una commissione ristretta, composta da Meoni, Calza, Guarino, Parisi, Pellizzari, Rossi e Sobrero, il compito di mettere a punto il documento conclusivo, che fu approvato all'unanimità. In esso, pur condividendosi la necessità di riformare l’obsoleto istituto del gerente, si ribadiva che le leggi vigenti erano sufficienti a regolare il corretto funzionamento della stampa e che qualunque modifica si rendesse necessaria doveva essere introdotta con lo strumento della legge. Si respingevano, comunque, con fermezza le disposizioni sulla diffida affidata ad organi del potere esecutivo, giudicandole inaccettabili "in quanto paralizzerebbero la funzione della stampa e renderebbero praticamente impossibile l'esplicazione dell'opera professionale del giornalista anche esercitata con la maggiore diligenza e rettitudine di intenti". Con lo stesso documento il Consiglio generale invitava il Governo a sospendere il provvedimento.
Il giorno dopo una delegazione della Federazione, guidata da Meoni, si incontrava a mezzogiorno con il Presidente del Consiglio. Mussolini, che aveva già deciso di non dare corso al provvedimento, da abile giocoliere, convinto che con i “colleghi” giornalisti si potesse usare la politica del bastone e della carota, pur dichiarando di non poterne condividere alcune parti, ”per ragioni evidenti”, sostenne che il documento federale era “nel complesso”, "abbastanza obiettivo", facendo intendere che la Federazione della Stampa lo avesse, alla fine, convinto. Ma quali fossero le sue reali intenzioni lo si leggeva chiaramentenel comunicato ufficiale, diramato al termine dell'incontro, nel quale il capo del Governo "accoglieva l'augurio rivoltogli dalla commissione e, cioè, che la condotta della stampa italiana fosse tale da non rendere necessaria l'applicazione dei provvedimenti" annunciati. Una dichiarazione apparentementecompromissoria e conciliativa, ma che di fatto costituiva una vera e propria minaccia contro gli avversari del fascismo. Non a caso, Mussolini, che leggeva con attenzione tutti i giornali di opposizione, consegnava, come confesserà Cesare Rossi, quotidianamente al suo segretario i ritagli de La Voce Repubblicana, l’Unità, La Giustizia e l’Avanti!, che contenevano i nomi dei sottoscrittori perché fossero trasmessi ai fiduciari provinciali e locali del partito che li “purgavano o minacciavano o bastonavano”. Per parte sua l’ufficio stampa della Presidenza del Consiglio allargò la sua rete di informatori prezzolati e iniziò a fare largo uso delle intercettazioni telefoniche…..
(luglio 1924)
…… Mussolini, che avrebbe superato anche grazie alla sostanziale connivenza della monarchia questa fase critica, era consapevole che dopo aver conquistato il parlamento, non gli restava, per mettere a tacere le opposizioni, ma anche le frange oramai incontrollabili dell’estremismo fascista, che porre un freno alla stampa, divenuta particolarmente aggressiva dopo la scomparsa di Matteotti e fonte di disordini di piazza. Subito dopo il rimpasto governativo conseguente alle elezioni dell’aprile, impose al Governo nella riunione dell’8 luglio l'immediata attuazione dei provvedimenti sulla stampa, congelati nel luglio dell'anno precedente, e pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale quello stesso giorno. Soltanto 5 giorni prima, rispondendo al ministro Giuriati, che si lamentava per gli attacchi di alcuni giornali al suo operato, Mussolini gli aveva scritto “la libertà di stampa esiste fino a prova contraria”. Al ministro degli interni Federzoni che in consiglio dei ministri aveva sostenuto che l’ordine pubblico era minacciato dalle “polemiche intemperanti e le notizie false o tendenziose, con le quali parte della stampa eccita e fuorvia le correnti della opinione pubblica”, Mussolini aveva prontamente risposto cha per “infrenare gli eccessi della stampa di opposizione e insieme le esuberanze polemiche dei fascisti” c’era già il provvedimento del 15 luglio del ’23. Bastava renderlo immediatamente operativo.
La sera di quello stesso 8 luglio il consiglio direttivo dell’Associazione della Stampa di Roma, riunitosi d’urgenza, votava all’unanimità un ordine del giorno che giudicava il decreto sulla stampa “in contrasto con la lettera e con lo spirito della nostra legge statutaria” perché affidava “all’insindacabile giudizio di merito dell’autorità politica un procedimento che può condurre alla soppressione pressocchè immediata di un giornale o di una pubblicazione periodica”. L’Associazione romana riaffermava “il principio e il diritto della libertà di stampa, limitato solo dalla legge e solo reprimibile dal magistrato”, principio sul quale concordavano “tutti i Consigli Direttivi e tutte le assemblee dei soci, composti quelli e queste di uomini delle più diverse parti politiche”. L’ordine del giorno si concludeva con un appello “ai giornali e ai giornalisti italiani perché da un’azione solidale risulti in modo imponente quale sia il pensiero e il sentimento della stampa nazionale su questa fondamentale questione”.
Il giorno successivo, il Regolamento, sotto forma di decreto-legge, era già pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, ma con l’aggiunta di due nuovi articoli, di non poco conto, assenti nel testo dell’anno precedente. L’uno prevedeva che in caso di violazione delle disposizioni sulla stampa i giornali dovevano essere sequestrati e che il sequestro sarebbe stato “eseguito dall’autorità di pubblica sicurezza senza che occorra speciale autorizzazione”, l’altro prevedeva che per tutti i reati “di stampa o commessi a mezzo della stampa” si sarebbe proceduto per “citazione direttissima”. Il sequestro preventivo dei giornali era stato abrogato con legge del 28 giugno 1906, la sua reintroduzione mediante regolamento era, quindi, quantomeno dubbia sul piano della costituzionalità.
Ma il Regolamento prevedeva anche un’altra modifica, dettata dalle reazioni negative espresse dalla Federazione della Stampa, oltre che da molte Associazioni territoriali. Laddove si introducevano le commissioni incaricate di dare il loro parere sulle diffide. Mentre nel testo del ’23 si affermava che di ogni commissione avrebbe dovuto far parte “un rappresentante della classe giornalistica nominato dalla locale Associazione della Stampa, ove esista”, nel testo pubblicato ora si aggiungeva che in mancanza della Associazione diStampa territoriale, il rappresentante dei giornalisti sarebbe stato nominato dal presidente del Tribunale…..
(giugno-dicembre 1925)
…. Mussolini, per isolare la dirigenza federale e chiudere la partita con la stampa,il 20 giugno del '25 al termine dello svolgimento dei lavori della Camera, approfittando della quasi totale assenza di parlamentari della ormai ridotta opposizione, propose per lo stesso giorno la seduta notturna per l’approvazione del disegno di legge, messo a punto dai ministri degli interni e della giustizia, che trasformava definitivamente in legge i decreti del ’23 e del ’24 e prevedeva nuove disposizioni sulla stampa. Il disegno di legge esaminato e modificato dalla commissione parlamentare presieduta da Andrea Torre, relatore Filippo Ungaro, che aveva recepito gran parte degli emendamenti Amicucci, fu portato all’approvazione di un’aula, priva, ad eccezione dei parlamentari comunisti, di opposizione……Avuta la maggioranza necessaria per la seduta notturna (247 voti a favore e 44 contrari) la Camera passò alla discussione nel merito dei provvedimenti, dopo che il relatore Ungaro aveva concluso il suo intervento sostenendo che “il disegno di legge non nega alcuna libertà, ma riafferma una responsabilità che deve essere profondamente sentita ed eleva la dignità del giornalismo italiano”. Messi in votazione, praticamentesenza dibattito, i provvedimenti furono, così, approvati dalla Camera, a scrutinio segreto, quasi all’unanimità. Su 266 votanti la legge sulla stampa ebbe 261 voti favorevoli, la conversione in legge dei decreti 263.....Approvati dalla Camera, i disegni di legge furono trasferiti al Senato, dove, dopo l’esame della competente commissione arrivarono nel mese di dicembre in aula, relatore Vittorio Rolandi-Ricci. In Senato la discussione, seguita con attenzione da Mussolini, presente ai lavori di tutte le sessioni, fu decisamente più ampia di quella, praticamente inesistente per l’assenza delle opposizioni aventiniane, che si era avuta alla Camera nella notte del 20 giugno…… Subito dopo, i tre disegni di legge furono messi in votazione e definitivamente approvati con 150 voti a favore e 46 contrari. La legge sulla stampa, datata 31 dicembre 1925, n. 2307, fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del successivo 5 gennaio.
Con la sua entrata in vigore e con i conseguenti provvedimenti successivi si poneva fine, come dirà nel decennale della marcia su Roma Ermanno Amicucci, al “regime di assoluta irresponsabilità” in cui era vissuta la stampa italiana.
(da Giancarlo Tartaglia, Un secolo di giornalismo italiano. Storia della Federazione nazionale della stampa italiana 1887-1943, Mondadori Università)
Messaggio del 10-06-2010 alle ore 16:49:28
ma davvero carmine sei a favore di questa legge anti liberale?
non è da persone intelligenti dai su, mica si dev'essere sempre a favore di quello che fa il governo che si è votato
Messaggio del 10-06-2010 alle ore 17:06:47
so problema lo risolvi mettendo delle dure pene a quei giornali o privati che le usano per loro scopi e non legittimando i delinquenti a me se mi intercettano me ne sbatte altamente ca ni tengh nient da nasconncussù è natru scem che vo fa l'interessa sì
Messaggio del 10-06-2010 alle ore 18:38:37
per togliere il fastidio dei sassi dalla scarpa tagli il piede... cazzo quanto era fastidioso però quel sasso... senza piede puoi usare comunque le stampelle... pirla di che ti lamenti... però vuoi mettere non sentire più quel fastidioso sasso nella scarpa?
Ma ricordiamoci che le più grandi rivoluzioni della Storia non si sono fatte stando ai primi posti della classifica di Freedom House. Si sono imposte, a prezzo di sacrifici e di sangue, con il prorompere della necessità di un popolo di abbattere i propri tiranni. E più la tirannia stringe il cappio, più cresce la necessità della ribellione. Più ci imbavagliano, più aumenta il bisogno vitale di respirare. Avanti così dunque: più ci umiliano, e prima verrà il giorno della ghigliottina
Messaggio del 11-06-2010 alle ore 07:32:51
ma co facesse tutte le cazzo di leggi che vuole... tanto sai che ci farà fra non molto??
Se le ficca in quel posto, perchè non manca molto alla disfatta totale di sso pezzente, della gente che gli va appresso, e di tutte le stronzate che ha fatto...
voglio vedere e godere quando rimarranno in mutande tutti i geni che li hanno votati, sse merde, quante cazzo di risate mi faccio
Questa è la conferma che la maggioranza di sse merde so criminali... altro che per il bene del popolo... per il bene dei criminali, mo comincio a fa il criminale pure io, conviene...
ma tanto so sicuro che un altro anno così e addavero le ghigliottine.
------------ Editato da Ciuc Ja il 11/06/2010 alle 07:34:54
Messaggio del 11-06-2010 alle ore 11:12:55
Puo' anche darsi che con questa legge si ottenga l'opposto di quanto si aspettano: la pubblicazione di notizie (anche quelle che riguardano persone che non hanno commesso reati) "intercettate" potrebbe aumentare; magari dopo essere state pubblicate in un sito internet straniero potrebbero essere riprese dai media nazionali e rilanciate come notizia della notizia... bho? A meno che questo non sia stato espressamente vietato...
Messaggio del 11-06-2010 alle ore 13:01:40
la cosa che più mi fa incazzare è che neanche quel babbeo di Napolitano ha alzato un dito.
Che razza di classe politica ci ritroviamo,siamo un paese allo sFASCIO.....
Messaggio del 11-06-2010 alle ore 19:07:27
Si puo' pensare che e' la mafia che passa ad incassare la cambiale sottoscritta nel '94? E prima ancora sottoscritta negli anni '70 quando faceva il palazzinaro con-non-si-sa-quali-soldi?
Messaggio del 12-06-2010 alle ore 01:34:49
Quando all'amico vostro gli faranno un culo così (perchè questo accadrà prima o poi, dato che si sta superando ogni limite di decenza umana) spero che avrete almeno le palle di continuare a difenderlo esaltandone le gesta. Non è che fate come la metà degli italiani che stavano a Piazza Loreto a pià a zampate il Duce dopo averlo idolatrato per anni?
Messaggio del 12-06-2010 alle ore 16:01:21
Il compito della stampa libera è quello di riferire le notizie, non fabbricarle. A fabbricarle ci pensa il governo.
Messaggio del 13-06-2010 alle ore 13:06:49
Legge-bavaglio, il perché di una pagina bianca
09:30 del 11 giugno
Una prima pagina bianca, per testimoniare ai lettori e al Paese che ieri è intervenuta per legge una violenza nel circuito democratico attraverso il quale i giornali informano e i cittadini si rendono consapevoli, dunque giudicano e controllano. Una violenza consumata dal governo, che con il voto di fiducia per evitare sorprese ha approvato al Senato la legge sulle intercettazioni telefoniche, che è in realtà una legge sulla libertà: la libertà di cercare le prove dei reati secondo le procedure di tutti i Paesi civili - nel dovere dello Stato di garantire la legalità e di rendere giustizia - e la libertà dei cittadini di accedere alle informazioni necessarie per conoscere e per sapere, dunque per giudicare.
La violenza di maggioranza è qui: nel voler limitare fino all'ostruzionismo irragionevole l'attività della magistratura nel contrasto al crimine, restringendo la possibilità di usare le intercettazioni per la ricerca delle prove dei reati. E nel voler impedire che i cittadini vengano informati del contenuto delle intercettazioni, impedendo ai giornali la libera valutazione delle notizie, nell'interesse dei lettori. Tutto questo, mentre infuria lo scandalo della Protezione Civile, nato con le risate intercettate ai costruttori legati al "sistema" di governo, felici per le scosse di terremoto che squassavano L'Aquila.
Le piccole modifiche che sono state fatte alla legge (si voleva addirittura tenere il Paese al buio sulle inchieste per quattro anni) non cambiano affatto il carattere illiberale di una norma di salvaguardia della casta di governo, terrorizzata dal rischio che i magistrati indaghino, i giornali raccontino, i cittadini prendano coscienza. Anzi. La proroga dei termini per gli ascolti, di poche ore in poche ore, è proceduralmente più ridicola che macchinosa. E le multe altissime agli editori non sono sanzioni ma inviti espliciti ad espropriare la libertà delle redazioni dei giornali nel decidere ciò che si deve pubblicare.
Ciò che resta, finché potrà durare, è l'atto d'imperio del governo su un diritto fondamentale dei cittadini - quello di sapere - cui è collegato il dovere dei giornalisti di informare. Se questa legge passerà alla Camera, il governo deciderà attraverso di essa la quantità e la qualità delle notizie "sensibili" che potranno essere stampate dai giornali, e quindi conosciute dai lettori. Attenzione: la legge-bavaglio decide per noi, e decide secondo la volontà del governo ciò che noi dobbiamo sapere, ciò che noi possiamo scrivere.
Con ogni evidenza, tutto questo non è accettabile: non dai giornalisti soltanto, ma dai cittadini, dal sistema democratico. Ecco perché la prima pagina di "Repubblica" è bianca, per testimoniare ciò che sta accadendo. E per dire che non deve accadere, e non accadrà.
Messaggio del 13-06-2010 alle ore 19:15:11
Oggi leggevo di qualcuno che faceva notare come la privacy invocata per fare questa porcata venga tranquillamente ignorata quando si tratta di privacy violata dalle telecamere a circuito chiuso dei supermercati, parcheggi, autostrade, autovelox, banche ecc. allo stesso modo si dovrebbero permettere le riprese solo per 70 giorni e poi a richiesta di 72 ore in 72 ore. La santanche' che parlava della privacy dei mafiosi (in quale paese civile si sarebbe potuta ascoltare una tale scempiaggine) chissa cosa ne pensa?